sabato 1 agosto 2015

Riflessione sull'Arte del combattere

Riflettevo giusto oggi sull'abilità che un'artista marziale allena quotidianamente e su quanto questa possa metterlo nelle condizioni di ferire o addirittura togliere la vita. In un combattimento reale dove si rischia la vita qual'è il limite che siamo disposti a superare? Perché una cosa è simulare uno scontro, ma quando devi veramente lottare per la vita siamo pronti a usare le nostre armi fino in fondo (ferire gravemente sino a togliere la vita)? Culturalmente cresciamo con l'obbligo, anzi il dovere, di non nuocere ai nostri simili e pratichiamo un'arte nella quale tale regola viene ribadita quotidianamente. Ma in uno scontro reale siamo coscienti che non esistono onore o principi, non c'è mente, non ci sono regole ma solo una grande determinazione a sopraffare il proprio avversario pur di portare a casa la propria o l'altrui incolumità. Abbiamo veramente la forza di sopportare il peso del male che potremmo arrecare? Senza entrare nel merito dei rischi legali! C'è chi potrà affermare che in situazioni limite non esistono paure sulle implicazioni legali o morali, ma non siamo animali dotati del solo istinto e la mente se non correttamente addestrata può diventare un grande ostacolo. La verità è che cerchiamo di apprendere e insegnare tecniche che garantiscano il controllo alimentando un' illusione, perché siamo tutti consapevoli che non esiste il controllo assoluto nella vita reale.
Forse la soluzione a questa impasse risiede nel nostro Spirito e nella sua capacità di dominare la mente e il corpo divenendone regista e attore. Se siamo in armonia con il nostro Spirito e siamo disposti a lasciarlo libero di esprimersi il controllo diviene inutile poiché l'energia a cui attingiamo ci consente di cancellare paure, dubbi, dolore divenendo dei guerrieri determinati e pronti ad affrontare ogni sorta di avversità. Chiedo perdono per la lughezza, ma grazie Maestro per lo spunto di riflessione. Buona notte.

sabato 27 dicembre 2014

Shu ha ri

Riporto per intero un articolo interessante che desidero conservare:

La didattica di Shu-ha-ri, ovvero le tappe dell'assimilazione attraverso il kata"
di C. Barioli


La didattica espressa nell'uso del kata è riassunta nell'espressione shu-ha-ri. Ne parlò per primo Kawakami Fuaku (1784 - 1855) fondatore della scuola Edo-senke del cha- no-yu; ma essa è implicita nell'insegnamento di Zeami Motokiyo (1363 - 1443) il creatore del teatro noh.
In Giappone la cerimonia del thé: chanoyu ('acqua calda per il thé'), sado, o chado, è un rituale influenzato dal buddismo zen nel quale il thé verde in polvere (matcha) viene preparato da un esperto e servito a pochi invitati in un'atmosfera calma. In questo evento si possono rintracciare le esperienze religiose e estetiche che hanno influenzato il kimono, la calligrafia, la disposizione dei fiori, la ceramica, l'incenso.
Colpisce del chanoyu che al termine delle guerre civili (1600) fosse appannaggio della classe guerriera, mentre oggi attira soprattutto il mondo femminile.
Dalle tradizioni del circo cinese e dalle danze religiose popolari nasce il dengaku, arte elegante e raffinata. Il mecenatismo dello shogun permette a Motokiyo Zeami (1363 - 1443) di farne risaltare la 'tranquilla eleganza' ed è l'atto di nascita del noh. Questo è uno stile tradizionale del teatro giapponese caratterizzato da una concezione religiosa e aristocratica della vita. Si vale di drammi lirici essenziali e simbolicizzati: la gestualità e i suoni sono stilizzati.
Attore, autore sovente paragonato a Sheakespeare, regista, fondatore di una scuola tuttora attiva di Zeami abbiamo in italiano Fushi-kaden: Trasmettere il fiore dell'Interpretazione, contenuto in Il Segreto del Teatro No - Adelphi 1966.
Oggi shu-ha-ri è applicato in scuole di pittura, danza, calligrafia, disposizione dei fiori, ceramica; e con qualche difficoltà nel budo. Accenno a difficoltà perché:
- il judo è nato da kata e randori, ma lo sport l'ha dimenticato,
- alcuni gruppi di iai si sforzano a parlarne,
- l'aikido lo applica con troppa eleganza per trarne efficacia,
- il karate ci gioca senza crederci,
- in genere questa metodica non gratifica l'insegnante.
Dalla tesi di Keiichi Takaya: On the connectiosn between imagition and education: philosophical and pedagogical perspectives (del rapporto tra educazione e immaginazione, prospettive pedagogiche e filosofiche):
In japanese traditional arts, it is commonly said that the ideal path of learning is a three-stage progression of shu, ha, ri, which means:
- 1) copy masters' kata or their ways of performing/doing,
- 2) breaking with masters' kata; but at this stage, learners have not totally achieved their own style in that they are trying to break free of their master's influente (they are psychologically not independent yet),
- and 3) the creation of their own kata
(cf. Minamoto, pp.30-31; also, Ikuta, pp. 45-47).
Nelle arti tradizionali nipponiche si considera comunemente che la progressione di studio segua le tappe shu-ha-ri, cioè:
- 1) studio passivo; si imita il kata del maestro e il suo modo di fare e di essere;
- 2) esperienza attiva; ci si allontana, si rompe con la forma del maestro, ma a questo punto l'allievo non ha un suo stile e lotta per liberarsi dall'influenza del maestro;
- 3) realizzazione; in seguito arriva a esprimere la disciplina conservando l'essenza della scuola, ma interpretandola secondo la propria esperienza, contribuendo al divenire dell'arte, che si costruisce con l'esperienza umana una generazione dopo l'altra.
Per dare una definizione di shu-ha-ri, proponiamo, in analogia con tesi, antitesi e sintesi, proprio questi punti: uno studio passivoa cui segue un'esperienza attiva per arrivare alla realizzazione.
Il kata è una rappresentazione sintetica dell'arte, in cui sono espresse le esperienze profonde della scuola. La prima formulazione può apparire determinante; ma le successive interpretazioni, mantenendo l'apparenza, aggiungono esperienza, spingendo più a fondo l'analisi della realtà. In questo modo la scuola supera i limiti dell'individuo che l'ha creata e acquista valore nel tempo.
Nota per i judoisti: i kata canonici nascono dall'intuizione di una realtà profonda e vengono eseguiti con perdonabili inesattezze. Ma chi li ha praticati a lungo ne ha ricavato un'esperienza, che compare nella successiva trasmissione per cui, nella continuità della forma c'è maggior consapevolezza.
Nello zen la Trasmissione è qualcosa "che deve cambiare perché tutto resti come prima": c'è una continuità essenziale che riguarda lo spirito (il kata), e deve restare; e c'è un cambiamento superficiale che è dovuto al trascorrere del tempo (finché restiamo nello stresso luogo) o dello spazio (vedi l'occidentalizzazione dello zen giapponese).
Qualche parabola cinese ha stimmatizza il processo di apprendimento dicendo che per essere maestri bisogna uccidere il maestro. Alcuni accusano l'insegnamento di plagio da cui ci si libera per diventare se stessi.
Si racconta che la fase 'shu' è lunga, la successiva 'ha' è sofferta, e l'ultima, 'ri', è rinascita.
Nel nostro sistema scolastico, approssimativo e massificato, simili argomenti non trovano attenzione. Tuttavia alcune volte lo studente trova il 'maestro', figura che lo accompagnerà nella vita, fonte di imitazione e di energie; e magari arriverà a superarlo. Questi episodi, di cui si sente accenno, suggeriscono che l'avvenimento è naturale, anche se raro. Ma riconoscendone il meccanismo potremmo renderlo più frequente, a beneficio del risultato dello studio.
Nell'arte, nell'artigianato, nelle discipline tradizionali d'Oriente il processo di trasmissione è elitario. Il judo del signor Kano tenta di offrirlo ai più, ci suggerisce di dedicarci attenzione per sfruttarlo al Miglior Impiego dell'Energia.
"Shu" deriva dal verbo "mamoru": defend, protect; keep, observe, obey; abide by; stick to; be true to. Proteggere, conservare, osservare una regola.
E' la fase della comprensione tecnica; della presa di coscienza della tradizione. Il maestro mostra la forma, l'allievo osserva attentamente la gestualità, la riproduce adattandola al corpo. Proprio la massima fedeltà richiesta implica l'adattamento. Questa fase richiede "osservazione", "completa dedizione", "intelligenza".
L'osservazione non è quella suggerita dalla tradizione scientifica, ma "completa partecipazione".
In questa fase l'allievo non ha obiezioni, non pone domande.
Nell'opera "Kata to Nihon Bunka" (Il Kata nella Cultura Nipponica) il professor Minamoto Ryoen (1920 - ) storico e sociologo, dice: Shu è la tappa in cui si riproduce il kata per assimilare i fondamenti dell'insegnamento. E' uno studio passivo… Quando si esamina come il gekken ha preso dal cha-no-yu questa fase si citano le parole di Chiba Susaku: "Esiste shu-ha-ri. Shu significa 'proteggere' e vuole intendere 'conservare l'esperienza della scuola'. Per Itto-ryu è la posizione seigan-bassa, per Munen-ryu è la posizioneseigan-comune. Questo significa che si attacca e si colpisce partendo dalla posizione fondamentale della scuola o del ramo della scuola a cui si appartiene".
Chiba Susaku (1794 - 1855) fondò Hokushin-itto-ryu di ken-jutsu; promosse lo shinai-shiai, cioè la competizione con spada di bambù; e confrontò donne armate di paginata (alabarda) a uomini con la spada.
Shu è la fase elementare, l'inizio dell'apprendimento, che si rivolge al corpo. Lo mettiamo in relazione con 'ushin' la condizione di chi ha l'attenzione su qualcosa. Ryoen dice: …non è l'atto semplice di osservare come richiedono le scienze naturali moderne. L'allievo percepisce la maestria nascosta e cerca di imitarla, adattando il gesto alla propria maniera d'essere (corpo e mente)… Per Zeami era la prima tappa in cui l'apprendimento avviene solo per imitazione
…come per i bambini…
questo è lo studio elementare, che nel No imita la mimica, e considera solo quello che viene avvertito dai sensi comuni.
Questa fase dell'apprendimento si avvale dell'esempio, del contatto come comunicazione corporea, dell'immagine mentale. E' la fase del plagio, e se viene considerata definitiva conduce a un'imitazione fedele che, riproducendosi di generazione in generazione, cristallizza la scuola. Anche solo ripetendosi di anno in anno mummifica l'esperto.
In judo si dice: se a 60 anni uno pratica la stessa forma che a 20, è uno zombie: un corpo senza spirito.
"Ha" da "yaburu": tear, rip, rend; break, crish, destroy; violate, transgress; defeat; baffle, frustrate. Distruzione, rottura, trasgressione.
Viene il momento in cui svaniscono le certezze e si rettifica la comprensione. Appresa la forma alla perfezione, quando è veramente penetrata oltre la superficie nella coscienza, il kata viene applicato alla vita. In questa fase la forma viene ignorata dalla coscienza e ricompare, creata dall'inconscio, nell'essenza del combattimento che il ki. Si sperimenta che la forma ha raggiunto lo spirito, il centro di coscienza, aggirando gli ostacoli che si incontrerebbero limitandosi ad ascoltare le lezioni convenzionali di un insegnante che parla da dietro la cattedra.
In questa fase l'allievo non ha a chi porre domande. La mente è nello stato di mu- shin, in cui nulla concede a desiderio o paura. E' in tempo presente, la condizione in cui il corpo crea l'azione.
Riprendiamo Minamoto Ryoen nell'opera citata: Come regolarsi nell'apprendimento? Il kata che mi viene trasmesso è stato a sua volta ricevuto dal maestro, che ha la sua personalità, e che dall'insegnamento ricevuto ha tratto la sua esperienza; è naturale che contenga cose che non mi sono congeniali. Tuttavia se mi soffermo troppo nell'assimilazione fisica del kata del maestro, senza cimentarmi nell'applicarne alcune parti in circostanze reali, limiterò la mia creatività. Questo concretizza la necessità di 'deformare' la forma e caratterizza il periodo 'ha'. Chiba Susaku nella Via della spada: 'Ha' significa distruggere, abbandonare l'obiettivo e la visione precedente; nella 'mente vuota' non c'è posto per il maestro. E' il maestro che propone all'allievo il distacco: lo manda in gara, gli propone il duello, lo abbandona al pubblico, lo espone alla critica. Gradualmente l'allievo è lasciato solo e ha il kata a cui aggrapparsi, eppure non è il kata formale, ma l'esperienza dei maestri del passato in una nuova circostanza che si realizza attraverso la sua personalità e il suo corpo.
Tutto è nuovo, il kata acquista dimensione reale; il maestro è un'ombra che scompare. Ucciderlo significa percepire la sua presenza lasciarci e non voltarsi a guardarlo.
E' un momento difficile, in cui l'allievo può illudersi che i successi siano la maestria. Quante volte il judo ha perso i suoi campioni in questa circostanza!
Ecco la fase conclusiva: "ri", da hanaru. Separazione, allontanamento, trascendenza: separate, part from, come off, become disjoined; digress; get free; become estranged; be 3 miles away
E' un anelito di libertà, per il maestro e per l'allievo. E' il parto; i corpi diventano due, separatamente affrontano la realtà. Il kata torna a dominare quello che era un allievo e ora è un esperto che può diventare maestro.
In questa fase finale la domanda è lecita e la risposta sorge dall'interiore.
Ma non è più la ripetizione del kata che l'allievo osservava con tanta intensità nell'espressione del maestro. E' un kata vissuto almeno in alcuni particolari, che talvolta può esteriormente essere identico, ma interiormente è diverso: prima arrivava faticosamente all'allievo, ora da lui emana con naturalezza.
Nello zen si dice: All'inizio la montagna è montagna e il fiume è fiume; poi le montagne non sono più tali e il fiume non è più fiume; ma alla fine le montagne sono ancora montagne e il fiume fiume.
Negli Scritti Postumi di Chiba SusakuCome classificare i Maestri: "Ri" significa staccarsi, allontanarsi, rinnegando anche "shu" e "ha", senza possibilità di tornare al passato, senza nulla da mirare più in alto.
Non si fa fatica a ritrovare queste tappe nel mondo occidentale. Lo studente studia con attenzione il passato; in fisica ripercorre teoricamente e in laboratorio le esperienze, come un kata. Può accontentarsi di questa realizzazione e limitarsi nella vita a ripetere formule e leggi.
Oppure può cercare di andare oltre, impiegandosi nell'industria dove affronterà problemi di produzione e di organizzazione, dedicandosi alla ricerca per arrivare a nuove interpretazioni della realtà.
E quando avrà fatto esperienza, forse apporterà qualcosa di nuovo alle vecchie formule, oppure le esporrà in una migliore sintesi.
Certamente il kata non costituisce argomento di gara (come in fisica o in religione non si fanno concorsi di formule o di preghiera) e i giovani devono capire a cosa serve e sperimentare come funziona. La gara di kata richiede di adottare un modello unificato, che ignora il rapporto maestro/allievo e l'esperienza.
Quando il modello è stabile, l'esperienza diventa inutile.
Sarebbe il ritorno all'ipse dixit aristotelico e alla creazione di Tolomeo.
Lasciamo concludere a Minamoto Ryoen: La pedagogia del modello (kata) che si completa nell'esercizio libero (randori) richiede un equilibrio. Nel gekken di Jikishin-kage e Itto-ryu questo sistema di allenamento è gestito abilmente, e Chiba Susaku ne è il profeta. In epoca moderna è Kano Jigoro che l'ha vitalizzato nel judo…

lunedì 4 giugno 2012

Carta di credito che passione

Io sono almeno 10 anni che acquisto avvalendomi di Carte di credito sia online sia quelle tradizionali. Ho acquistato su Ebay, Amazon e tanti altri siti.
La carta di credito tradizionale abbandonatela, perché l'esperienza mi ha insegnato che anche i siti definiti sicuri non sono mai del tutto sicuri e anche se devo ammettere che ho recuperato i soldi che mi hanno rubato usando la mia carta, questo avviene comunque a distanza di tanti mesi e tanti soldi fregati. Non bisogna pensare solo al fatto che vi ridanno i soldi, ma anche ai problemi derivanti dal dover fare una denuncia a CC e alla trafila perché tutti i soldi vi vengano rimborsati (Insomma una grande menata, oltre all'incazzatura e possibili discussioni familiari).
Per pagare via Web vi consiglio due metodi che ormai ho collaudato:
1. Paypal (Vi consente di contestare il pagamento entro 30 GG e se avete ragione vi vengono rimborsati completamente),
2. Ricaricabili con la possibilità di generare codici di carte di credito del circuito Visa e Mastercard; sono codici ormai accettati da tutti i venditori online e sono codici usa e getta, quindi una volta creati e usati per l'importo deciso, anche se li rubano dai siti dove li avete usati non saranno riutilizzabili.

Evitate il più possibile di pagare mediante bonifici, contanti o ricaricando le tessere ricaricabili di altri, sono pagamenti difficilmente recuperabili.
Evitate di pagare con carta di credito virtuale su Paypal, perché se l'acquisto va male recuperare i soldi diviene un bagno di sangue, a causa del codice di carta che è usa e getta e quindi non associabile direttamente al vostro conto bancario.

Spero di essere stato utile!

venerdì 11 maggio 2012

Diritto al lavoro

Ci sono giorni, come questi dove riscopri l'amarezza perché la tua situazione lavorativa è avvilente: non ho lavoro e sono quì a cercare di far passare il tempo con la tristezza nel cuore.
So che rispetto a persone che non hanno il lavoro io sono fortunato perché ho uno stipendio, ma starsene seduti a vagare e dover compilare dei rapportini dove non puoi dire che ti sei girato i pollici... :-(
Vorrei prendere e andarmene a casa, tanto in questo momento mi sento trasparente e inutile.
La consapevolezza di essere una persona che può dare molto, ma che viene relegata in un angolo mi deprime e ancor più se penso di non aver fatto nulla per meritarmelo.
Ma non sono l'unico e anche se questo non mi consola lo accetto come unica scusante; ma quanto può bastare una scusa così stupida...

lunedì 10 ottobre 2011

TRAPPOLA PER VESPE


Articolo tratto da http://www.aapigra.it
Esistono vari modi per catturare le vespe che certe estati infestano i nostri luoghi, sistemi che prevedono insetticidi, esche, a pagamento e non.
Vi proponiamo oggi un sistema fatto in casa che riteniamo molto efficace.

E’ un procedimento che diventa più efficace verso la fine dell’estate, quando le vespe operaie diventano più aggressive cercando sostanze dolci e proteine.



COME SI COSTRUISCE LA TRAPPOLA
Prendiamo una bottiglia di plastica da 1,5 lt vuota, dividiamo la bottiglia in due parti, tagliandola proprio dove la bottiglia incomincia a rastremarsi verso l’alto per formare il collo.

Dalla divisione della bottiglia si ottiengono due pezzi, uno inferiore a forma di cilindro, che serve come contenitore dell'esca e uno superiore a forma d’imbuto (ingresso), la parte superiore si capovolge e s’inserisce nel cilindro fino a far combaciare i due tagli della bottiglia e si fissa sul cilindro mediante punti per cucitrici o nastro adesivo. A questo punto, la trappola è pronta, manca solo l’esca.
L’insetto anche se non resta invischiato nell’esca non potrà mai più uscire.

Esempio di trappola
L’ESCA
Esistono vari tipi di esche
  1. L’esca ottimale è la birra, gli aromi dovuti alla presenza del malto e di altri odori secondari dovuti alla fermentazione e alla maturazione di altri ingredienti, mettano a dura prova persino gli insetti più reticenti. La quantità da inserire dentro la bottiglia varia dai 300 ± 400 cl., 2 cucchiai di zucchero;
  2. Miscela con acqua (100g), zucchero (100gr) e aceto (20gr);
  3. Vino bianco dolce o addolcito con zucchero più 30 ml di sciroppo di menta.
  4. Pesce avariato (appeso ad un filo al centro della bottiglia - le vespe sono carnivore).